Colmare l’AI divide per un'equa distribuzione dei benefici dell'intelligenza artificiale

L'avvento dell'intelligenza artificiale ha innescato entusiasmi e timori per i suoi potenziali impatti sociali ed economici. Se da un lato l'AI promette di aumentare l'efficienza in molti settori, dall'altro si teme possa acuire divari e disuguaglianze già presenti nella società. Si parla così di "AI divide": uno scenario in cui i benefici della rivoluzione tecnologica non sono equamente distribuiti, ma finiscono per avvantaggiare soprattutto élite ed interessi consolidati.

Già oggi, gli investimenti in ricerca e sviluppo sull'AI provengono principalmente da governi e corporation di Paesi avanzati. Chi rimane indietro rischia una perdita di competitività e influenza a livello globale. Inoltre, l'automatizzazione dei processi produttivi favorisce le grandi aziende a scapito delle PMI, acuendo le disuguaglianze.

Anche a livello individuale, le competenze digitali necessarie per prosperare nell'era dell'AI sono distribuite in modo diseguale. Si rischia così il paradosso per cui, a fronte di una crescente disponibilità di beni e servizi high-tech, ampie fasce di popolazione ne sono escluse per divari economici o culturali.

Diventa cruciale un approccio etico e "human-centric" all'intelligenza artificiale, che ne guidi lo sviluppo in direzione di un effettivo miglioramento delle condizioni di vita per tutti. Le istituzioni devono attivare programmi di formazione inclusiva sulle nuove professionalità emergenti, oltre a politiche economiche redistributive che compensino gli impatti asimmetrici dell'automazione. L'innovazione tecnologica va canalizzata al servizio dell'eguaglianza e della sostenibilità, non contro di esse. Solo un'AI realmente al servizio dell'umanità può mantenere le sue promesse evitando derive inaccettabili.

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