L'intelligenza artificiale sta assumendo un ruolo sempre più centrale nelle nostre vite, automatizzando processi decisionali che spaziano dall'approvazione di prestiti bancari alla valutazione di candidati per posizioni lavorative. Tuttavia, se non adeguatamente progettati e supervisionati, gli algoritmi rischiano di ereditare e amplificare bias e discriminazioni presenti nella società. Si pone quindi un problema cruciale di equità e accountability.
I sistemi di AI apprendono dai dati con cui vengono addestrati. Se questi presentano distorsioni, ad esempio una sotto-rappresentazione di minoranze etniche o di genere, l'algoritmo ne erediterà i pregiudizi. Ciò può portare a classificazioni e predizioni discriminatorie, come nel caso di software per il riconoscimento facciale meno accurati per persone nere.
Anche la selezione delle variabili può introdurre bias: considerare fattori apparentemente neutri come il codice postale può nascondere discriminazioni geografiche e socio-economiche. La disciplina dell'"ethical AI" studia come identificare e mitigare questi rischi sin dalla fase di progettazione.
Ma la soluzione non può essere puramente tecnica. Servono quadri normativi che tutelino i diritti individuali e impongano requisiti stringenti di trasparenza e accountability. Gli utenti devono poter conoscere la logica di funzionamento degli algoritmi, non accettando la scusa della complessità o della proprietà intellettuale.
Inoltre, le aziende high-tech devono assumersi la responsabilità sociale di correggere disparità storiche, non amplificarle. Ciò richiede maggiore diversità nelle equipe di sviluppo software e un monitoraggio continuo dell'equità nei sistemi implementati.
L'intelligenza artificiale ha enormi potenzialità, ma presenta anche rischi eminenti per i diritti umani qualora venga introdotta senza salvaguardie adeguate. La chiave sta nel mettere al centro la persona, non la tecnologia, progettando sistemi AI etici e antidiscriminatori sin dall'inizio.