La recente pubblicazione del libro "Non morire di gerarchia" di Marina Capizzi offre interessanti spunti di riflessione su come riprogettare le organizzazioni del lavoro per promuovere la partecipazione attiva e valorizzare le persone.
Nel testo l'autrice sottolinea come le imprese abbiano da sempre adottato modelli gerarchici, considerandoli necessari per gestire la complessità. Tuttavia, le rigide strutture piramidali mal si adattano alle sfide odierne, risultando lente e poco reattive ai cambiamenti.
È quindi opportuno ripensare il sistema organizzativo, superando una visione puramente funzionale della gerarchia. L'obiettivo deve essere creare contesti in cui le persone possano esprimere creatività e intraprendenza, senza soffocare sotto procedure coercitive.
Capizzi invita a guardare ad esperienze di successo, come Google, dove sono state eliminate figure intermedie per favorire autonomia e flessibilità. Certo, questo ha causato anche difficoltà gestionali, indicando come non si possa rinunciare del tutto ai ruoli di coordinamento.
La gerarchia va però ripensata in una logica di servizio, per abilitare le potenzialità individuali e di team. I leader devono essere facilitatori di percorsi di crescita, trasmettendo una visione condivisa ed energizzante. Le performance non si ottengono con il controllo, ma motivando le persone e assegnando obiettivi sfidanti.
È essenziale promuovere una cultura della fiducia e del riconoscimento. I dipendenti non vanno valutati solo per risultati quantitativi, ma apprezzati per il loro contributo complessivo all'organizzazione. In sintesi, è urgente passare da modelli gerarchici rigidi a strutture flessibili e partecipative. Solo valorizzando le persone come individui unici, con passioni e talenti, si potrà dar vita ad organizzazioni realmente innovative e sostenibili.