L'avvento di Internet e dei nuovi media digitali ha profondamente cambiato il modo in cui le persone fruiscono dei contenuti mediatici. Se in passato l'offerta di informazione era rigidamente controllata da un numero limitato di emittenti, oggi chiunque può produrre e diffondere contenuti, generando un'abbondanza senza precedenti.
In questo oceano di stimoli e informazioni, la risorsa più preziosa è diventata l'attenzione del pubblico. I nuovi colossi del web come Google, Facebook, Youtube o Netflix hanno costruito il loro successo sulla capacità di catturare e mantenere l'attenzione degli utenti il più a lungo possibile.
L'economia dell'attenzione studia proprio le dinamiche con cui l'attenzione degli individui, una risorsa limitata e preziosa, viene allocata tra la miriade di stimoli con cui siamo bombardati ogni giorno. In un contesto di sovrabbondanza informativa, non conta più solo produrre contenuti di qualità, ma riuscire ad emergere dalla massa e conquistare fette di attenzione. I nuovi media digitali hanno affinato tecniche sempre più sofisticate per ingaggiare e mantenere l'attenzione: dai titoli clickbait che promettono contenuti sensazionali, alle notifiche push che riportano continuamente l'utente sull'app, agli algoritmi di raccomandazione che propongono contenuti iper-personalizzati e accattivanti.
La sfida è continuamente stimolare la curiosità e l'interesse del lettore, spingendolo a cliccare, scrollare e tenere lo sguardo inchiodato allo schermo. L'obiettivo è massimizzare il tempo trascorso dagli utenti sulla piattaforma, perché ciò si traduce in maggiori dati raccolti e maggiori profitti pubblicitari. In questa prospettiva l'attenzione non è solo una risorsa scarsa, ma diventa merce di scambio, ceduta implicitamente dagli utenti in cambio dell'accesso ai contenuti. Gli inserzionisti pubblicitari competono per accaparrarsi spazi sempre più invasivi e performanti, mentre gli editori sperimentano tecniche più aggressive per trattenere l'utenza.
Alcuni critici mettono in guardia dai rischi di questa "economia dell'attenzione" spinta all'eccesso. Il costante bisogno di stimolare curiosità porta alla proliferazione di contenuti volutamente scandalistici, sensazionalistici o divisivi, che polarizzano il dibattito pubblico. L'enfasi sulla metriche quantitive come click e tempo sul sito penalizza l'approfondimento e la qualità dei contenuti. Gli utenti meno avveduti finiscono preda di dinamiche manipolatorie che sfruttano le vulnerabilità cognitive per creare assuefazione tecnologica. Si paventa il rischio di una "infobesità", in cui l'individuo fatica a districarsi tra contenuti superficiali e ridondanti.
Ciononostante, sarebbe riduttivo dipingere gli utenti come meri soggetti passivi, in balia delle strategie di ingaggio delle piattaforme. Le persone mantengono sensibilità e spirito critico nel gestire la propria dieta mediatica, ricercando contenuti coerenti con i propri interessi e valori. La sfida è educare ad un consumo consapevole e attivo, che sappia valorizzare le opportunità offerte dall'abbondanza informativa senza farsi risucchiare nelle dinamiche più perverse. Serve un'alleanza tra cittadini, educatori e decisori per promuovere un ecosistema dell'informazione sano ed eticamente sostenibile. Le piattaforme devono assumersi maggiori responsabilità, gli utenti affinare lo spirito critico. L'economia dell'attenzione può diventare una risorsa preziosa se incanalata per arricchire il dibattito democratico e promuovere una società più informata e consapevole.