Nell'arena pubblica contemporanea convivono e si confrontano voci mediatiche profondamente diverse per natura, linguaggi e obiettivi. Da una parte i grandi network dell'informazione tradizionale - televisioni, quotidiani, periodici - dall'altra una galassia eterogenea di media indipendenti e alternativi. Il rapporto tra questi due universi è complesso e pieno di sfumature.
I media mainstream, pur nelle diverse linee editoriali, sono accomunati da caratteristiche quali diffusione di massa, appartenenza a grandi gruppi editoriali, finanziamenti pubblicitari ingenti. Questo comporta standard professionali elevati ma anche rischi di appiattimento, pensiero unico, asservimento al potere costituito.
I media alternativi nascono spesso da esperienze dal basso, autonome e autogestite. Puntano a dare voce a temi e soggettività trascurati dalla grande informazione - questioni di genere, ambientali, pacifiste. Il loro pubblico è più di nicchia, i budget ridotti, ma c'è grande libertà espressiva e sperimentazione di linguaggi.
Certo, il rischio è di scivolare nella militanza ideologica, nel complottismo, nella scarsa accuratezza. Ma i media alternativi svolgono una funzione essenziale: portare pluralismo di voci e punti di vista nel dibattito pubblico, rompere visioni mainstream cristallizzate. Rappresentano un fondamentale contrappeso critico.
Perché l'agorà mediatica sia davvero democratica ed inclusiva, mainstream e alternativi non devono chiudersi a riccio né fagocitarsi a vicenda. Devono piuttosto integrarsi promuovendo reciproche contaminazioni positive. Solo così lo spazio pubblico potrà essere specchio fedele della società, in tutte le sue sfaccettature.